Genitorialità e lutto nella morte perinatale

La Dr.ssa Manganoni, presso gli Studi di Psicologia e Psicoterapia di Padova e Bassano del Grappa, si occupa all’interno dello Spazio Maternità e Genitorialità del lutto perinatale, uno stato emotivo legato alla morte dell’ultimo trimestre di gravidanza e delle prime settimane di vita del bambino.

La Dr.ssa Manganoni ha dedicato il suo lavoro di tesi di specializzazione in Psicoterapia della Gestalt al tema della genitorialità e lutto nella morte perinatale di quelle famiglie che hanno vissuto precocemente la perdita di quelle vite, vissute come un soffio, ma indimenticabili (“Il contributo della Psicoterapia della Gestalt nell’elaborazione del lutto perinatale. La culla vuota, ogni vita perduta merita di essere ricordata”).

Nel lutto perinatale la coppia è chiamata ad affrontare un percorso difficile, in cui l’amore per il bambino perduto e il dolore della perdita si intrecciano, segnando profondamente il vissuto dei genitori.

Il tema della morte perinatale

Nel tempo la cultura occidentale ha continuato a mostrarsi timorosa nei confronti del lutto nella morte perinatale.

La morte perinatale resta un argomento:

scarsamente affrontato nella nostra società e da parte del personale socio-sanitario (Kübler Ross, 1955);

poco comprensibile all’esterno perché si piange un bambino “sconosciuto” al mondo, su cui nessuno (a parte i genitori, i fratelli e qualche volta i nonni) ha maturato un legame di attaccamento.

La sofferenza correlata alla perdita durante la gravidanza o dopo il parto viene considerata spesso “normale” e il bisogno di aiuto “negato” (Ravaldi, 2008).

Purtroppo, il rischio di questo vuoto socio-culturale è di lasciare questa dolorosa e triste esperienza alla fredda e anonima prassi, impedendo alla famiglia la possibilità di dar voce al proprio dolore: di pensarlo, definirlo e condividerlo.

Si tratta, invece, di un bambino molto prezioso per chi lo ha pensato e sentito nel corpo. Ne segue, quindi, che ogni vita perduta merita di essere ricordata.

Esperienze di perdita a confronto

L’esperienza di perdita di un bambino può avvenire per:

–          aborto spontaneo: interruzione della gravidanza per cause naturali;

–          aborto indotto o procurato o interruzione volontaria di gravidanza (IVG): interruzione intenzionale dello sviluppo dell’embrione o del feto e nella sua rimozione dall’utero della gestante;

–          aborto del 2° trimestre (parto pretermine);

–          aborto terapeutico: effettuato allo scopo di salvaguardare la vita della madre, la sua salute fisica e mentale, per terminare la gravidanza nel caso di disordini congeniti del feto che potrebbero provocherebbero la sua morte;

–          morte perinatale: morte dell’ultimo trimestre di gravidanza o delle prime settimane di vita del bambino;

–          perdita di uno o più gemelli in caso di gravidanza multipla;

–          perdita dopo un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA).

Qualunque sia l’esperienza di perdita per la coppia ne seguono le reazioni caratteristiche del lutto (Ravaldi, 2009) perché lascia una pesante sensazione di vuoto, in cui manca una presenza; in cui si interrompono le fantasie legate a quella gravidanza e a quella storia di maternità, costringendo i genitori a vivere realtà diverse da quelle desiderate.

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Il vissuto dei genitori

La perdita di un bambino è un evento doloroso che colpisce profondamente tutti i membri della famiglia, indipendentemente dal periodo gestazionale (Ravaldi, 2009).

Il vissuto della madre

La perdita di un bambino, in particolare nel caso di morte perinatale o di un’interruzione di gravidanza per patologia fetale, appare più intensa nei giorni successivi al parto perché il corpo della madre è biologicamente preparato all’allattamento.

Improvvisamente, la donna si ritrova sola e senza più nessuno da accudire (sindrome della culla vuota). In lei, in questo periodo, può accadere:

–          che il pianto di altri neonati stimoli la produzione del latte materno;

–          di non riuscire a incontrare e frequentare altre donne in attesa o donne con bambini piccoli;

–          di accettare con rabbia e difficoltà il proprio corpo pronto all’allattamento.

Nella madre possono così emergere frequenti pensieri di:

–          inadeguatezza e incapacità di affrontare la situazione presente;

–          colpa con rimugino (“E’ colpa mia”, “Avrei dovuto/non avrei dovuto fare”, “Se solo avessi/non avessi”…);

–          non riuscire a sopportare il dolore e di impazzire.

A questi pensieri possono aggiungersi alcune alterazioni dei ritmi fisiologici del sonno e dell’appetito.

Le emozioni più comuni, variabili in intensità e durata, possono essere:

–          sensazione di vuoto (sia fisico che mentale) e smarrimento;

–          apatia;

–          forte senso di irrealtà (come se si stesse assistendo a una scena che non riguarda in prima persona);

–          tristezza combinata ad agitazione e tendenza a tenersi occupate (iperattività);

–          angoscia e disperazione.

Le reazioni a questo evento possono essere diverse da donna a donna, fra queste:

–          costruzione di una barriera protettiva contro il dolore, distanziandosi dalle emozioni negative;

–          sensazione di vivere in una sorta di dimensione parallela, svolgendo le attività quotidiane in modo automatico, senza avvertire alcuna emozione;

–          pianto e chiusura nel silenzio.

Il vissuto del padre

Tradizionalmente l’uomo era visto come colui che consola, sostiene, non entra in crisi, non esprime il dolore, mostra un’immagine sicura di sé. In lui vengono riposte molte aspettative, tra le quali prendersi cura della partner dopo la perdita di un bambino.

Da questo sfondo culturale emerge come la figura paterna sia più svantaggiata nel processo di elaborazione del lutto. Questo perché, a lungo, l’attenzione è stata rivolta esclusivamente al lutto materno.

In realtà, il padre soffre molto, anche se le modalità di esprimere le sue emozioni possono essere diverse da quelle femminili. Ciò, alcune volte, può causare motivo di incomprensione all’interno della coppia genitoriale.

Il padre può chiudersi in se stesso, negando tale sofferenza. Per affrontare il dolore può ricorrere a nuove attività (per es. sport eccessivo, doppio lavoro, nuovi hobbies) o altre attività nocive alla sua salute (come uso di alcol, gioco d’azzardo, spese eccessive, licenziamenti improvvisi).

Oggigiorno, al padre vengono affidati compiti impegnativi dal punto di vista emotivo (per es. informare la partner della morte del figlio, prendere decisioni urgenti) e, se non adeguatamente sostenuto, da personale empatico e preparato, può andare incontro a un disturbo post-traumatico da stress con episodi di flashback, paura ed emozioni disturbanti, che può durare anni e rendere difficile una futura paternità piena e consapevole.

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Il vissuto di eventuali altri figli all’interno della famiglia

Come sostiene Vàzquez Bandìn (2011) generalmente si tiene poco conto del lutto dei bambini, in quanto poche persone si sentono a proprio agio nel parlargli della morte.

I bambini, rispetto agli adulti, hanno un’idea diversa di questo evento. Fino ai 3 anni sono preoccupati per la separazione, poi per la mutilazione (Kübler Ross, 1955). Tra i 3 e i 5 anni considerano la morte uno stato temporaneo. Dopo i 5 anni l’attribuiscono ad un evento esterno. Infine, tra i 9 e i 10 anni compare la concezione realistica della morte, intesa come un processo biologico permanente. Ne segue, che ogni bambino presenta un modo personale di affrontare l’evento morte.

Alcuni bambini possono sentire rimorso e senso di colpa per aver “ucciso” il fratellino o la sorellina. Altri, possono prendere l’evento con più tranquillità.

Se i genitori, che date le circostanze già abbastanza frastornanti, non gli spiegano nulla o non li aiutano a capire, c’è il rischio che amplifichino nella loro mente i non detti come qualcosa di oscuro o ignoto, o che trattengano o blocchino il dolore dentro di sé, dando luogo a problematiche emotive (Vàzquez Bandìn (2011), come timore di esprimere la paura, maggior attaccamento alla madre, regressione nelle loro capacità normali.

La famiglia riveste, quindi, un ruolo fondamentale nel rendere il più fluida possibile la comunicazione della notizia, mediante spiegazioni semplici e comprensibili, evitando versioni contrastanti dell’accaduto.

Verità, sostegno e condivisione delle emozioni consentono ai figli di reagire senza particolari difficoltà a questo evento.

Un utile metodo di sostegno per i bambini che hanno vissuto una perdita è il gioco. Quest’ultimo rappresenta un’importante forma di auto-terapia (Violet Oaklander, 1988), che consente l’espressione di esperienze e vissuti anche dolorosi, non ancora esprimibili verbalmente.

Altri canali preferenziali sono il disegno attraverso alcune tecniche di pittura, la manipolazione di alcuni materiali come l’argilla (per le sue caratteristiche di morbidezza e malleabilità), la musica e il movimento che favoriscono l’espressione delle sensazioni e delle emozioni provate.

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Il vissuto di parenti e amici

La morte perinatale può creare disagio, imbarazzo, dolore o paura sia in parenti e amici delle coppie che subisco la perdita di un bambino, rendendo difficile il loro dare sostegno.

Il lutto può essere così spaventoso, da mettere alcune volte distanza tra le persone, aggiungendo così un altro dolore al dolore della perdita (Ravaldi, 2009).

Al contrario, la coppia genitoriale non dovrebbe ridimensionare o modificare il proprio stato emotivo, non dar troppo peso a chi prende le distanza, ma valorizzare chi rimane accanto e chi si avvicina spontaneamente.

Le reazioni comuni del personale socio-sanitario

Il contesto di cura si confronta di frequente con la dimensione temporale, trasmettendo il messaggio che bisogna fare in fretta.

Le principali difficoltà che incontra il personale socio-sanitario riguardano l’ascolto e la comunicazione.

La morte di un bambino costituisce un evento difficile da affrontare anche per gli operatori vicini alla coppia genitoriale durante il momento della diagnosi o del parto (Ravaldi, 2010). Un atteggiamento, a volte, distanziante, può ostacolare il processo di elaborazione del lutto dei genitori.

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Kübler Ross (1955), On death and dying, London: Routledge (trad. it. : La morte e il morire, Assisi: Cittadella, 1976)

Oaklander V. (1988), “Windows to Our Children: A Gestalt Therapy Approach to Children and Adolescents”, New York: The Gestalt Journal Press, ed. italiana (1999): Il gioco che guarisce, Catania: EPC

Ravaldi C. (2009), Piccoli Principi. Perdere un bambino in gravidanza o dopo il parto, Boopen editore

Ravaldi C., Vannacci A. (2010), “Risvolti psicologici nella morte perinatale”, in: Gravidanza e contesti psicopatologici dalla teoria agli strumenti di intervento, a cura di Righetti P.L., Milano: Franco Angeli

Vàzquez Bandìn C. (2011), “Aspettami in cielo. Il processo del lutto in psicoterapia della Gestalt”, in: Quaderni di Gestalt n.1, pp. 45-64.

L’autrice: Dr.ssa Miriam Manganoni

La Dr.ssa Manganoni Miriam è Psicologo e Psicoterapeuta. Esercita la libera professione presso gli Studi di Psicologia di Padova e Bassano del Grappa (località Ca' Baroncello, S. Giuseppe di Cassola). E' laureata in Psicologia presso l'Università di Padova ed è specializzata in Psicoterapia della Gestalt. Si è perfezionata in Psicoprofilassi ostetrica.

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